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Hub Alì: la crescita della GDO e il rischio saturazione

di Gianni Belloni

“Gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l’ombra della loro distruzione e, sin dall’inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine”: è il protagonista del conturbante romanzo di Winfreid Sebald, Austerlitz, che parla al termine di una efficace dissertazione su come le fortificazioni delle città abbiano inutilmente rincorso l’evoluzione delle tecniche militari risultando, una volta erette, semplicemente inutili.

Venendo a noi: è legittimo sospettare che lo stesso processo possa riguardare il progettato e discusso hub logistico di Alì? Cioè che le funzioni pensate per questo manufatto, una volta costruito, con le modificazioni dell’economia e della società che si succederanno, non risultino più così essenziali?

Sappiamo che il progetto in questione è finalizzato ad aumentare e concentrare gli spazi di stoccaggio diminuendo i costi di gestione in vista dell’espansione dell’attuale quota di mercato di Alì. Tale espansione si traduce concretamente nell’apertura di altri due supermercati ogni anno per i prossimi 30 anni come riferisce il documento di analisi degli impatti del progetto.

Nel numero di agosto del 2022 di una newsletter specializzata e dedicata agli operatori del settore, Gdo news, leggiamo: “Tutti sono coscienti che esiste un punto di non ritorno, ovvero si arriverà ad un momento in cui la numerica dei punti vendita sarà tale per cui gli investimenti porteranno all’apertura di negozi non profittevoli. Si arriverà quindi alla famosa saturazione”.

Solo nel territorio del Comune di Padova (dati 2022) insistono 69 strutture della Grande distribuzione organizzata (GDO) dedicate al cibo di cui 18 con il marchio Alì, in Italia siamo a quota 25mila. Per altro, secondo gli analisti, il segmento in maggiore espansione, visto il progressivo impoverimento della popolazione, è quello dei discount che copre la fascia di clientela che ricerca prezzi più bassi. Inoltre va tenuto presente il dato demografico: una popolazione che invecchia consuma meno.

La modalità prevalente di accesso ai consumi per come lo conosciamo oggi è nato negli anni ’50 importato dagli Stati uniti dove era nato vent’anni prima, con one stop shopping, il “tutta la spesa sotto lo stesso tetto”. Una modalità che ha comportato un irrigidimento e disciplinamento della filiera del cibo, l’espansione del cibo industriale, la sottomissione dei produttori alle esigenze, tempi, modalità, prezzi della grande distribuzione. Una modalità di successo, ma fragile viste le rigide reti lunghe di approvvigionamento su cui si basa, energeticamente dispendioso e intrinsecamente creatore di spreco data la scarsa flessibilità nel rifornimento (gli scaffali devono essere sempre pieni).

Non c’è all’orizzonte prossimo nessun segnale di un tramonto di questo modello, ma è invece visibile un sensibile rallentamento della sua espansione anche grazie al cambiamento nelle abitudini – spese più ridotte e più frequenti, sensibilità ambientale, calo della seduzione del cibo industriale – che si stanno registrando. Ed è su un disegno di espansione che si basa il progetto del nuovo hub logistico targato Alì.

Le forme dei luoghi riflettono le pratiche dei suoi abitanti e degli operatori economici, quando le pratiche cambiano, i luoghi non cambiano con gli stessi tempi, alle volte si conservano dei relitti delle pratiche precedenti. Il problema è quello di capire se ha senso sacrificare per sempre un bene comune essenziale, e scarso, come il suolo, per le logiche di corto respiro dei bilanci trimestrali e della guerra all’ultimo sangue per quote di un mercato vicino alla saturazione.


Sul tema del nuovo hub di Alì a Granze di Camin abbiamo già pubblicato:

Sul tema del diritto al cibo e delle nuove filiere abbiamo pubblicato:

Foto di Donald Giannatti su Unsplash

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