La Stanga ha bisogno di una piazza. Ne siamo convinti perché in quel rione di Padova abbiamo svolto un’intensa e partecipata ricerca, cinque anni fa, e la costruzione di una piazza è stata la proposta che ne è emersa. Suggerimmo anche un nome: piazza dell’accoglienza.
In realtà ce l’aveva suggerito una delle tante, e dei tanti, abitanti che avevamo intervistate e con cui abbiamo condiviso la ricerca. “Immagino la Stanga come la porta dell’accoglienza” ci aveva confidato Rinalda Montani. La Stanga è l’ingresso della città, il rione che accoglie chi arriva da fuori. E l’accoglienza qui – tra le scuole e le case – ha una storia densa, non sempre pacifica, ma vitale. Scrivevamo come i nostri interlocutori temessero che la zona divenisse “solo un concentrato di servizi, un dormitorio” e che la piazza poteva essere un antidoto a tutto questo.
Il Quadrante nordest della città è travolto dai Cambiamenti, quelli con la C maiuscola: stravolgimenti dettati dal battito incessante dei grandi interessi immobiliari e dal balbettio – o la connivenza – della politica. “Occorrerà – scrivevamo allora – porre attenzione perché la storia e la vita del rione – vitale e contraddittoria, energica e dolente – non venga sommersa dai Cambiamenti, ma da questi aiutata e valorizzata”. E una piazza vera, viva e riconoscibile – non un’appendice della nuova Questura come temiamo di intuire dal rendering prodotto dalle archistar che è stato diffuso in questi giorni –, sarebbe un bel modo per darle una centralità e un luogo di sosta, scambio e riconoscimento.
Cresciuta all’ombra dello sviluppo industriale, la Stanga si è ritrovata nel ciclone delle trasformazioni urbane legate sia alla nuova economia che sulla rendita dei suoli – e il suo vertiginoso risiko – fonda molte delle sue fortune, sia alle nuove correnti migratorie sospinte da molti angoli della terra a cercare uno spicchio di fortuna e approdate alla Stanga prima che in altre zone della città.
La Stanga è un rione che conta una straordinaria vitalità sociale, un forte tessuto partecipativo e la vicenda di via Anelli – ci hanno raccontato i nostri interlocutori – ha un ruolo in tutto ciò: “L’abbiamo vissuta come una sfida, e a me piacciono le sfide” ci ha confidato un’attivista del quartiere.
Le palazzine di via Anelli, il ghetto – costruito da un impasto da ignavia, bieca speculazione e interessi criminali – è raso al suolo, ma rimane nelle memorie delle persone che qui vi abitavano. Molte dei quali si sono date da fare in quegli anni per affrontare i problemi di chi nel ghetto vi abitava, e tutt’ora si danno da fare per tenere in vita relazioni solidali nel quartiere.
È un quartiere vivo la Stanga e una piazza se la merita.
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In copertina: Via Maroncelli alla Stanga. Foto di Andrei Ene, dal libro cartonero “Stanga. Un quartiere raccontato dai suoi abitanti”