La mattina di mercoledì 25 giugno, a Piazzale Santa Croce a Padova, su invito di un gruppo di cittadini, l’agronomo Simone Petrin ha illustrato alla stampa e alla cittadinanza i risultati di una “controperizia” sul grande cedro di San Leopoldo (il Cedro Deodara). Gli stessi cittadini erano intervenuti, pochi giorni prima, per evitare che venisse dato corso all’abbattimento dell’albero ultracentenario, con relativo intervento delle forze dell’ordine, chiamate dai funzionari del Comune incaricati dell’abbattimento in base ad una perizia che ne prevedeva l’eliminazione cui era stato dato corso in tempi brevissimi. Ottenuto il rinvio, Gianluca Stefani ha invitato gli interessati a contribuire alle spese per una controperizia in modo da verificare l’effettiva “pericolosità” e necessità di cura e manutenzione della pianta. A lui abbiamo chiesto aggiornamenti in merito a questa azione di democrazia dal basso e, più in generale, su come sia possibile invertire le politiche comunali che in otto anni hanno provocato pesanti abbattimenti, stimati in oltre 17 mila alberi.
Per due volte nei giorni scorsi hai sollecitato la cittadinanza padovana a recarsi in Piazzale Santa Croce: cos’è successo?
È successo qualcosa di straordinario: per la prima volta dopo tanto tempo i padovani hanno detto con forza no all’abbattimento indiscriminato e ingiustificato di alberi sani. Il solito modus operandi da parte del Comune di Padova di agire con poca trasparenza, poca informazione e chiarezza sulle reali intenzioni di abbattere un autentico frammento di storia della nostra Padova con più di 170 anni è stato smascherato fin dall’inizio, in modo casuale, quando tre sabati fa mi sono accorto di un cartello di abbattimento affisso sul cedro (ormai purtroppo ho l’occhio allenato e giro per Padova col costante timore di trovare cartelli affissi sugli alberi come in realtà si verifica ogni giorno), che ne decretava l’abbattimento per il lunedì successivo. Immediatamente ho fatto un video per informare la cittadinanza di quello che stava per accadere invitandola ad essere presente per bloccare i lavori, cosa che fortunatamente è avvenuta grazie alla massiccia partecipazione. A seguito di una faticosa mediazione con l’Assessore al Verde Antonio Bressa si è ottenuta una sospensione per effettuare una controperizia, che prevedesse l’utilizzo della massima prova scientifica arbocolturale esistente: le prove di trazione.
A che punto siamo ora e cosa prevedi e auspichi succederà?
Abbiamo vinto una piccola battaglia, ma non la guerra; con questo successo abbiamo messo in crisi e in discussione non solo la tradizionale poco trasparente gestione del verde pubblico, ma un sistema che, come un cancro, si è espanso nella provincia, regione e in generale in tutto il nostro paese. Questo sistema è retto da persone, tecnici, esponenti del mondo accademico, che difficilmente vorranno rinunciare ai propri privilegi e fare un passo indietro, per questo siamo solo all’inizio e la strada è ancora lunga e piena di ostacoli. I nostri “avversari” stanno già tentando di sminuire e screditare il lavoro fatto perché la vicenda del Cedro dell’Himalaya ha dato oltre che speranza e nuovo vigore ai tanti coraggiosi comitati per la difesa degli alberi sparsi per tutta Italia, anche un metodo da seguire che non si basi solo su un singolo trionfo e salvataggio, ma un progetto ambizioso che provi a mettere in crisi la superficialità delle amministrazioni, indipendentemente dal colore politico, che finora hanno gestito il patrimonio arboreo trattandolo solo come semplice arredo architettonico da rimuovere e mettere a piacimento senza seguire alcuna logica. Auspico quindi due cose: sul piano interlocale, che da questo piccolo successo si possa creare una comunità/rete verde nazionale forte e stabile di aiuto reciproco tra i vari comitati, associazioni e enti, chiari, puri, senza altri fini se non quello di salvare gli alberi. Sul piano locale padovano esigiamo invece che il settore verde, vista la palese dimostrazione della sua inaffidabilità su questa vicenda e anche su altre, esautori non solo l’agronomo della prima perizia del cedro, che dall’inizio dell’anno ha messo la propria firma su una quindicina di perizie di abbattimento di alberi ad alto fusto e vetusti, ma che cominci a scegliere i propri agronomi, puntando su professionisti locali, competenti, più informati, coscienti e rispettosi della storia e conformazione del proprio territorio. Che finalmente si inauguri un nuovo standard che preveda il rigore del metodo scientifico, la trasparenza totale e la partecipazione attiva e vera della cittadinanza.
Cosa ci dicono le analisi del Comune e le analisi della controperizia sul cedro di San Leopoldo? Cosa dimostra tutto ciò?
La prima perizia mostra che la pianta era in classe D (da abbattere urgentemente), cava, presentava funghi e parti marcescenti, effettuava la stabilità sottoponendola a sforzi di venti pari a 70 km/h ; la controperizia con le prove di trazione dimostra che il Cedro di Deodara non è cavo (t/r=1), non presenta funghi, né parti marcescenti, il legno non risulta degradato, ma anzi attorno al fusto si nota la produzione di nuova corteccia e sottolinea che la pianta è stabile sottoponendola a sforzi di venti pari a 120 km/h. Errare humanum est, tuttavia come mi hanno confermato eminentissimi agronomi e tecnici qui gli sbagli sono tanti e risultano metodologici a cominciare dal doppio errore effettuato sul posizionamento dei sensori:
– collocati sulla parte considerata marcescente;
– collocati lateralmente e non perpendicolarmente rivolti verso il centro della pianta.
Tutto questo dimostra perfettamente la preoccupante superficialità con la quale è stato analizzato il Grande Cedro di San Leopoldo e viene da chiedersi, se in un albero di 20 m, con una circonferenza di 430 cm, con più di 170 anni, in un contesto storico inestimabile, si è proceduto con questo pressapochismo e sono stati commessi così tanti errori gravi, sugli altri alberi dove non siamo potuti intervenire per tempo a fare una controperizia cosa è successo?
Due “beni comuni” quali l’Ex macello di Via Cornaro e il Parco Prandina sono stati disboscati: cosa si sarebbe potuto fare per impedirlo e che lezioni ne dobbiamo trarre?
Se Padova è diventata Urbs Picta Patrimonio dell’Unesco in gran parte lo deve anche ai suoi tanti e magnifici alberi non solo custoditi gelosamente nell’Orto Botanico, ma quelli sparsi o meglio, che erano sparsi nei suoi vari rioni. In questa ottica il disboscamento di aree di gran pregio ambientale ricche di biodiversità come l’ex macello di Via Cornaro e del Parco Prandina risultano un grave scempio ambientale. La colpa di questa continua desertificazione è da attribuire all’amministrazione padovana, che si è dimostrata incurante del proprio patrimonio storico-culturale, ambientale e paesaggistico e a quegli enti come le Sovrintendenze, che dovrebbero essere dedite alla protezione di questo patrimonio inestimabile, che invece si sono mostrate soltanto come istituzioni accondiscendenti, al servizio di tutti, tranne che dei cittadini e dei beni, che dovrebbero proteggere, tirando molto spesso una netta linea di distruzione a favore dell’economia e del “progresso”.
Il caso Prandina è emblematico del comportamento passivo di questi moderni Ponzio Pilato: un abuso edilizio a tutti gli effetti, dato il mancato rispetto della legge del luglio 1971, n 542, che obbligherebbe il comune a destinare l’area a parco pubblico, che invece vedrà la realizzazione di un ampio parcheggio di ben 300 auto ottenuto tramite l’abbattimento di un polmone verde unico e di tutta la sua ricca biodiversità. A parole si parla di mobilità dolce e sostenibile e di consumo suolo zero, con i fatti si incentivano parcheggi, supermercati e progetti edilizi senza regole e freni a scapito dell’ambiente e della collettività. Purtroppo, ci si scontra con forze che hanno a disposizione legali, media, la protezione di enti certificati, denari illimitati e l’appoggio indiretto di associazioni ambientaliste, che a parole forse sembrano contrarie, ma che con i fatti non hanno mai voluto fare nulla per impedire il verificarsi di questi scellerati crimini ambientali. Fortunatamente, però, nell’ultimo periodo il malcontento della cittadinanza si è reso sempre più evidente; quotidianamente ricevo numerose segnalazioni e le azioni di protesta per difendere l’ambiente sono sempre più partecipate. Questo non è sufficiente: ancora troppe persone pensano che sia una battaglia persa, ma come diceva Che Guevara “Chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha già perso”. Combattere strenuamente questa battaglia per la difesa del nostro ambiente e territorio diventa dunque un dovere necessario per la nostra stessa sopravvivenza.
Anche Granze di Camin è stata al centro dell’attenzione quanto a consumo di suolo e boschi urbani: che lezioni possiamo trarne?
Di quello che si è verificato a Granze di Camin con il mostruoso e impattante polo logistico Alì ne hanno parlato molti quindi non mi dilungherò. Tralasciando il possibile conflitto d’interessi sulla questione, le motivazioni dei contrari sono perfettamente logiche sotto ogni punto di vista: economico, sociale, ambientale e salutistico. Quelli favorevoli invece additano come uniche motivazioni il discorso della compensazione della Caserma Romagnoli e parlano di un maggiore impiego lavorativo per il territorio. Smentire la prima considerazione è estremamente facile. È ridicolo parlare di compensazione, considerato che la Caserma Romagnoli si trova a chilometri di distanza da Granze! Una vasta area coltivabile sarà persa per sempre a causa degli interessi economici. È così dunque che l’amministrazione Giordani vuole raggiungere il consumo di suolo zero?
Nei mesi scorsi hai consegnato pubblicamente il “Premio motosega”, a chi e perché? Quali sono le cifre del disboscamento progressivo nel Comune di Padova e quali sono i prossimi necessari per cambiare rotta?
I dati del disboscamento compiuto dall’amministrazione padovana sono agghiaccianti: quelli ufficiali sono tragici, ma quelli reali sono ancora peggio. Dal 2017 si contano più di 17 mila alberi abbattuti, la maggior parte secolari e ad alto fusto. In virtù di questi numeri nei mesi scorsi ho consegnato il premio nazionale motosega dell’anno al sindaco Sergio Giordani quale rappresentante delle evidenti responsabilità di questa amministrazione. Per cambiare rotta è necessario innanzitutto che gli artefici di questi catastrofici fallimenti comincino non solo ad assumersi la responsabilità, ma lascino il posto a persone più qualificate e preparate inaugurando così un modello di buona amministrazione, che prediliga il merito e la competenza ai vecchi e ordinari metodi politici.
In copertina: il cedro di Piazzale Santa Croce a Padova, al centro della foto Gianluca Stefani (foto dal suo profilo Facebook)