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Rassegna stampa 2012

Il Giornale di Vicenza, 2 marzo 2012

Il Mattino di Padova, 27 aprile 2012, anche online

Voglia di shock economy ingiustizia o volano?

Come dopo il Vajont: così il Triveneto partì, con la defiscalizzazione, per diventare mitico Nordest. Ma oggi la ricetta anti-crisi può essere diversa

di Nicolò Menniti-Ippolito

PADOVA La domanda è sempre quella: come si uscirà dalla crisi? Ed almeno è una bella dimostrazione di ottimismo, perché è dato per scontato che se ne uscirà. Una possibilità è quella che dal 2007 viene chiamata “Shock economy”, secondo una fortunata formula inventata da Naomi Klein. Una seconda è quella di ripensare globalmente il sistema con occhi nuovi. L’incontro di studio organizzato a Padova da Lies (Laboratorio dell’inchiesta economica e sociale) ha puntato decisamente sulla seconda via, ma partendo dalla prima. Naomi Klein ha individuato il concetto di shock economy partendo dall’uragano Katrina e formulandolo grosso modo così: i disastri vengono usati dal capitalismo avanzato per fare piazza pulita delle regole e riavviare l’economia su basi liberiste che schiacciano alcuni e arricchiscono a dismisura altri; l’economia riprende a tirare, ma qualcuno paga il prezzo. Quello che Naomi Klein non poteva sapere è che un bell’esempio di shock economy è stato il Vajont, come ha ricordato la giornalista Lucia Vastano, che di questo si occupa da 11 anni.
Il meccanismo è semplice. Dopo il disastro lo Stato ha concesso denaro a fondo perduto ed esenzione fiscale a tutti gli imprenditori travolti dall’onda di piena. Giustissimo, certo, con una piccola postilla. Di tutto questo potevano approfittare non solo i detentori della licenza, ma anche chi la comprava, a prescindere dal tipo di attività e dalla dislocazione geografica in cui l’attività avrebbe riaperto. E dunque grandi industrie e baldanzosi imprenditori hanno comprato per qualche milione o anche molto meno licenze di calzolai e con in mano quelle hanno ottenuto miliardi ed esenzioni fiscali: ci hanno rimesso quelli di Longarone, se n’è avvantaggiata l’imprenditoria non solo bellunese ed è stata una bella spinta verso il “miracolo” nordestino. Tutto secondo il modello della shock economy, anche se all’epoca il concetto era oscuro.
Ora le cose si potrebbero ripetere. Lo shock della crisi, si dice, rappresenta una opportunità. Forse, come dice qualcuno, per fare piazza pulita di vincoli e diritti e far rinascere l’economia su basi più liberiste? Potrebbe essere. Ma c’è chi pensa che possa avvenire qualcosa di diverso. Per esempio un sociologo come Stefano Laffi propone di pensare al cambiamento partendo da un radicale mutamento di sguardo, non più incentrato sui problemi, ma sui desideri; non più centrato sul “siamo tutti in crisi”, ma sul recupero della critica alla disuguaglianza; non più sul buon senso appiattito sul presente, ma sulla capacità di raccontare un possibile mondo diverso.

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